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La normalità della disabilità

  • Immagine del redattore: Eleonora Denaro
    Eleonora Denaro
  • 4 gen 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

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La #disabilità è una condizione di svantaggio che preclude il #normale sviluppo psicofisico,con la conseguente difficoltà di acquisizione di un ruolo sociale all’interno della comunità di appartenenza.

Un bambino con una #menomazione è esposto più facilmente a difficoltà scolastiche, affettive, lavorative, cognitive, rispetto ad un normodotato.

Se è vero che i bambini disabili presentano notevoli difficoltà ad instaurare dei rapporti armoniosi con gli altri individui, è pur vero che tale circostanza investe anche questi ultimi i quali, spesso, non riescono ad instaurare rapporti equilibrati con i primi.

La ricerca dell’equilibrio e l’equilibrio medesimo trovano i propri antagonisti in condotte connaturate da “iperprotezionismo” o da “negazione dell’accettazione”.

Entrambi gli atteggiamenti influenzano e condizionano lo sviluppo psicologico del bambino disabile in maniera negativa, tanto più gravemente quanto più precoce questi sarà oggetto di comportamenti e agiti (sia consci che inconsci) da parte delle persone circostanti, che possono essere psicologicamente disturbanti in quanto inadatti.

Un intervento mirato deve far leva sul potenziamento delle risorse residue e delle parti sane, limitando e circoscrivendo il più possibile il grado di handicap: offrire la possibilità di una crescita personale nella sua globalità, al fine di costruire una propria identità fondata non solo sulla disabilità, ma integra in una costellazione più ampia di elementi costituitivi.

E’ la #famiglia che maggiormente necessita di attenzione e di aiuto durante tutto l’arco di vita del soggetto portatore di handicap: l’arrivo di un figlio che presenta una serie di problematiche avrà profonde ripercussioni sullo sviluppo e sul del #benessere dell’intera famiglia.

L’#accettazione rappresenta il primo passo fondamentale che i genitori si trovano ad affrontare, probabilmente il più difficile.

E’ uno shock iniziale a cui può far seguito senso di colpa e un vissuto di fallimento rispetto alle proprie capacità procreative.

A questi si accompagnano spesso meccanismi difensivi, in particolare la negazione, che se è vero che da una parte protegge dal dolore, dall’altra impedisce l’inizio di trattamenti precoci, che si rivelano fondamentali.

Negare la realtà del proprio figlio porta a nutrire aspettative non realistiche nei suoi confronti, oppure può generare un’iperprotezione e la sfiducia nelle sue capacità residue, focalizzandosi su ciò che il bambino non è in grado di fare. Si alimenta una profezia autoavverantesi.

I #genitori di bambini ad alta complessità assistenziale hanno responsabilità che differiscono da quelle dei genitori di bambini sani: sono responsabili della “cura” ma soprattutto della quotidiana problematicità di gestione.

Devono rapportarsi con servizi sanitari, educativi, sociali e nello stesso tempo bilanciare le loro risorse umane ed economiche con il peso dei problemi da superare.

In uno studio condotto da Brehaut et al. (2004), è emerso che i genitori di bambini con paralisi cerebrale presentano una quantità più elevata di disturbi quali dolore alla schiena, emicrania, ulcere gastriche/intestinali e segni di stress rispetto ad altri, così come i genitori di bambini dipendenti da strumenti tecnologici soffrono maggiormente di ansia, depressione, frustrazione, isolamento sociale, deprivazione di sonno.

La presenza di un figlio con disabilità condiziona le relazioni tra i coniugi, le scelte di lavoro, la gestione economica, la progettazione futura della vita familiare, anche a livello del percorso educativo e scolastico degli altri figli sani.

Nella pratica clinica si è dimostrato utile offrire alle famiglie sostegno psicologico al fine di elaborare i propri vissuti di rabbia, di dolore e frustrazione.

Una gestione positiva dell’organizzazione familiare ha un importante e positivo riscontro sullo stato di salute e sul benessere dello stesso figlio con disabilità tale da indurlo a non sentirsi “diverso”, ma “unico” al pari di ciascun uomo che popola la vita.

L’ambito obiettivo è proprio questo: la normalità della disabilità.




 
 
 

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